La nostra terra

I Vigneti

L’Azienda Agricola Coffele vanta oggi un parco viticolo di circa 25 ettari (75 campi veronesi) a Castelcerino, in corpo unico coltivato prevalentemente a Garganega, ma anche a Trebbiano di Soave e Chardonnay, oltre alle uve a bacca rossa di Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon. I vigneti, sempre soleggiati e ventilati, sono circondati da ulivi secolari, ciliegi e boschi.

Tutti i terreni a conduzione biologica, di proprietà della famiglia, sono gestiti con cura e attenzioni quotidiane direttamente da Alberto Coffele, responsabile della produzione, ed è il risultato dell’opera di salvaguardia e conservazione di Giuseppe Coffele, che già a partire dagli anni Settanta fu il primo vinificatore privato della zona del Soave Classico a credere nei cru di Castelcerino.

Sono i vigneti con maggior altitudine della zona del Soave Classico (fino a 400 m s.l.m.) e si trovano nella parte più a nord del Comune di Soave. L’esposizione è a sud-sud/ovest e presenta delle differenze notevoli tra i suoli più a sud (calcarei) rispetto a quelli più a nord (basaltici). I primi danno una maggiore acidità, finezza e longevità, mentre i suoli vulcanici più scuri danno maggior struttura e complessità.

La presenza di una grande area boschiva (la più estesa all’interno di tutta la Doc) influenza il microclima fornendo una mitigazione degli eccessi di calore estivo e favorisce pertanto il mantenimento di buone acidità. La costante presenza di venti da nord conserva il buono stato sanitario delle uve favorendo molto la gestione di un vigneto bio.

I Cru peculiarità e qualità

Ca’ Visco

Diviso su due differenti tipologie di terreno, rispettivamente calcareo, nella parte più a sud, per la coltivazione della garganega, e basaltico per il trebbiano di Soave, il cru Ca’ Visco è il più alto vigneto dell’intera zona del Soave Doc Classico. Ca’ Visco è il primo cru che è stato selezionato in azienda: la sua prima annata è stata infatti il 1992, una selezione che ha richiesto vent’anni di lavoro per identificarne peculiarità, qualità e specificità.

Alzari

Molto soleggiato e molto esposto, Alzari è il cru scelto per la garganega che farà invecchiamento di un anno in botte grande. Per la sua posizione e le sue caratteristiche, il vino che se ne ottiene è generalmente più alcolico. Il terreno è calcareo e con vecchie viti allevate con il tradizionale sistema a pergola veronese.

Nuj

Nuj, antico nome ritrovato su vecchie carte catastali ad indicare questa zona, è il cru posizionato nella parte più bassa dell’azienda, a 150 metri sul livello del mare. Già coltivato a bacca rossa negli anni ’60, (sono state infatti ritrovate tracce di allevamento di merlot), non poteva che essere vocato per la produzione del nostro taglio bordolese classico.

Castel Cerino

Castel Cerino è l’ultimo cru selezionato in azienda in ordine di tempo: è infatti dalla vendemmia 2015 che il Soave Classico Coffele viene valorizzato dal nome del suo cru, sottolineandone così l’appartenenza, la specificità territoriale e qualitativa, individuate solo grazie a un’esperienza quarantennale di lavoro in vigna, da Giuseppe Coffele al figlio Alberto, di generazione in generazione.

Da quindici anni la produzione dei vini Coffele si è estesa anche alla Valpolicella, precisamente in località Campiano, una piccola frazione di Cazzano di Tramigna, dove sono stati acquisiti quattro ettari per la produzione di un Valpolicella “d’annata” e di un Amarone della Valpolicella.

Il Biologico

Coffele è il primo produttore della zona del Soave Doc Classico a poter ufficialmente inserire in etichetta la qualifica “biologico” e l’Eurofoglia – il logo europeo che contraddistingue i prodotti biologici secondo quanto previsto dalla normativa (Reg. CE n. 834/2007, 889/2008 e 203/2012).

Questa certificazione è il risultato di un impegno ventennale che, fin dall’arrivo in azienda di Alberto Coffele, ha portato l’Azienda a scegliere metodi di coltivazione più rispettosi dell’ambiente e della salute dei consumatori, tra cui l’abbandono della tecnica del diserbo, la scelta di non utilizzare prodotti sistemici per evitarne la permanenza nel prodotto finito, l’utilizzo dei lombrichi per l’ottenimento di humus e compost prodotti in azienda, per mantenere la fertilità dei terreni aziendali.

L’appassimento

Dopo molti anni di sperimentazioni, la famiglia Coffele ha scelto di tornare, per prima nella zona, all’antico sistema di appassimento delle uve su reti verticali. Tale sistema è molto più oneroso e richiede molto spazio a disposizione, ma il risultato, soprattutto da un punto di vista di sanità e concentrazione delle uve, è nettamente superiore rispetto agli altri sistemi di appassimento. Così nel 2003 è stato realizzato un nuovo fruttaio di cui è stato studiato ogni dettaglio.

L’ubicazione stessa è stata il frutto di una scelta consapevole: il fruttaio è posto, infatti, sulle “Sponde” della collina (ovvero il crinale), dove non c’è mai nebbia e dove, negli anni, è stata osservata sempre una buona ventilazione.

Sfruttando queste condizioni ottimali si è quindi studiato un software che regola automaticamente l’apertura e la chiusura delle grandi finestre presenti, in modo che con il solo ricambio d’aria si riescano ad ottenere il miglior grado di umidità e temperatura all’interno del fruttaio. Questo permette un appassimento più naturale (e ogni inverno imprimerà così le sue caratteristiche al vino) e un risparmio energetico notevole potendo fare a meno di deumidificatori e condizionatori.

L’humus

La fertilizzazione del terreno, fondamentale per non depauperarlo nel corso degli anni, è effettuata esclusivamente con la sostanza organica prodotta in proprio dall’azienda, di cui si conosce quindi perfettamente l’origine. I cavalli della tenuta, infatti, si nutrono principalmente del foraggio prodotto in azienda.

È bene sottolineare quanto sia importante la sostanza organica del terreno sia per la sua naturale fertilità sia per la sua struttura (aspetti fisici). Tutti gli elementi nutritivi presenti nel terreno non sono ben assimilabili dalle piante se non è presente una buona quantità di sostanza organica. Essa è apportabile solo tramite il letame.

Come noto, oggigiorno, le aziende agricole non hanno più animali e la zootecnia è in forte crisi, è quindi sempre più difficile reperire del buon letame. Oltretutto gli allevamenti rimasti utilizzano sempre più medicinali ed estrogeni per i propri animali, che inevitabilmente si ritrovano nelle loro deiezioni. A fronte di tutto ciò ecco quindi la ricchezza di poter ottenere, all’interno della propria azienda agricola, della sostanza organica prodotta da animali allevati direttamente.

La sostanza organica del terreno non è eterna, può venire mineralizzata e, quindi, distrutta. Nessuna forma di agricoltura può prescindere da essa.

Nei paesi anglosassoni l’agricoltura biologica si chiama “agricoltura organica” proprio perché i suoi fondatori hanno individuato nella sostanza organica i fondamenti di una agricoltura eco-compatibile e sostenibile nel tempo.

Oltre gli aspetti tecnici ed economici ci sono anche quelli etici così felicemente sintetizzati dal Bonciarelli: “Il mantenimento della fertilità dei terreni su un livello non inferiore a quello che la nostra generazione ha trovato è un imperativo categorico imposto dai nostri doveri verso le generazioni di domani, che deve essere anteposto ad ogni considerazione di ordine contingente”.

Alcuni dati tecnici

Composizioni delle deiezioni+materiale della lettiera (indicative)

  • N per Mille
  • Bovino
  • Suino
  • Equino
  • N per Mille
  • 3,4
  • 4,5
  • 6,7
  • P2O5 per mille
  • 1,3
  • 2,0
  • 2,3
  • K2O per mille
  • 3,5
  • 6,0
  • 7,2

Il cavallo

Sono diversi i motivi per cui Alberto Coffele ha scelto di dare al cavallo un ruolo attivo all’interno della vigna.

Una volta selezionato il cavallo giusto per prestanza fisica e carattere, questo animale può infatti essere utilizzato in tutte le lavorazioni del vigneto: questo con un indubbio vantaggio dal punto di vista dell’impatto ambientale, e con sempre maggior efficacia e miglior resa da un punto di vista tecnico-agronomico.

Il cavallo, infatti:

Non inquina. Per svolgere il proprio lavoro non necessita di combustibili fossili (tra i maggiori responsabili dell’inquinamento ambientale e del global warming) e non inquina a livello acustico: è decisamente apprezzabile lavorare nella natura evitando il rumore assordante di una trattrice.

Contrasta le malerbe e nutre il terreno in modo naturale. Cibandosi, almeno in parte, del foraggio prodotto in azienda e delle malerbe del vigneto (in primavera e dopo la raccolta quando non sono presenti residui di trattamenti), produce un ottimo letame qualitativamente più ricco di quello bovino, chiudendo pertanto un ciclo biologico completo nell’azienda agricola.

Impedisce la compattazione del suolo, contrariamente a quanto accade con il passaggio continuo di una trattrice sul terreno. Le trattrici più piccole possono pesare 20 quintali e passano decine di volte l’anno in un vigneto rendendone il terreno sempre più compatto e distruggendone la tessitura e la struttura, ovvero ciò che ne regola le proprietà chimiche e fisiche. Al contrario, un cavallo può pesare in media 8 quintali e distribuisce il proprio peso sugli zoccoli e non su tutta la superficie, ben maggiore, delle ruote, come avviene per le trattrici. Oggi la compattazione dei suoli agricoli sta distruggendo lentamente, ma inesorabilmente, ogni forma di vita del terreno, che porta necessariamente a una lavorazione ancora una volta meccanica – la “ripuntatura” meccanica profonda del terreno per arieggiarlo – che non sarebbe necessaria con la reintroduzione del cavallo nelle lavorazioni del vigneto.

Permette molte lavorazioni eco-compatibili che, seppur più onerose in termini di tempi di realizzazione, possono essere accolte con favore da aziende già sensibili a una viticoltura più sostenibile e mirata ad ottenere vini di qualità superiore, attenti alla salute del consumatore.

Infine, con il suo passo lento e silenzioso, il cavallo ti invita a conoscere il terreno e i vigneti in modo diverso, ad osservarli con maggiore attenzione per una migliore interpretazione del territorio: un rapporto più vero, più profondo, per meglio cogliere ogni sfumatura che porterà ad ottenere un grande vino.

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